di Vasco Ferretti
Qui era Pico, sommo prodigio della Rinascenza
E ineluttabile forza del pensiero di magia.
Qui la visione eidetica di Leonardo a Vinci
Nel bisbiglio del tempo sotto ala di nibbio.
Là, Sidereus Nuncius, Galileo Galilei
Contro l’iniqua condanna di un sistema
Oscurantista e il martirio dei santi,
La forza della Legge, la virtù del Principe.
Cosimo, Pater Patriae, Vexillifer Justiciae.
Reduce da un infamante esilio – Oh, Dante,
Oh, Guido, che terra di vendette è mai la nostra! –
Con un solo mazziere entrò in città.
Abrogò scorta, trionfi e penitenze.
Zoccoli sui codardi, in cielo le colombe.
E le migliaia di ansiosi occhi nascosti
Fra i gigli e le inferriate di Firenze.
Chi non temeva un simile giorno?
Chi non lo invocava fra tante sciagure?
Dal palazzo roccioso della Signoria
L’aquila fiammeggiante issata in alto
Folgorava dai foschi e tenebrosi
Occhi di pietra le infantili schiere
Nemiche che in città attizzavano sempre
Guerre, bagnando a sangue l’acqua d’Arno.
Ieri muraglie di spade e cavalieri.
Sulle alture fendenti che sprizzano
Sangue e in fiamme i vessilli di Siena.
Principe, avrai dalla corte il veleno
E dal popolo, per l’obbedienza, l’odio!
Ieri tutto il passato di coloro la cui visione
Valicò l’angusto limite dei mari procellosi,
Di Santi che insegnarono alfabeti di carità.
Ho visto frà Girolamo in luce di perfezione
Aprire il chiostro al vento dello Spirito.
Ho udito, tela di Paolo Uccello in cattedrale,
Fragori di battaglia a San Romano.
Là dove perirono i cavalieri della fede
Adesso gioventù miscredente e dissanguata
Dall’oppio di papavero, sonnifero del tempo.
Domani, forse, il segno delle Rosa.
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